La Madonna del sabato santo

Da LA MADONNA DEL SABATO SANTO, lettera pastorale 2000-2001 del Cardinal C.M. Martini

2. La speranza che apre al futuro

Il Sabato santo è vissuto dai discepoli nella paura e nel timore del peggio. Perché il futuro sembra riservare loro sconfitte e umiliazioni crescenti. Maria però vive un’attesa fiduciosa e paziente; ella sa che le promesse di Dio si avvereranno.
Anche nel sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza dell’attesa; l’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze nell’epoca segnata dalla fine dei sogni ideologici e delle aspirazioni a essi connesse.
All’indifferenza e alla frustrazione, alla concentrazione sul puro godimento dell’attimo presente, senza attese di futuro, può opporsi come antidoto soltanto la speranza. Non quella fondata su calcoli, previsioni e statistiche, ma la speranza che ha il suo unico fondamento nella promessa di Dio. Di nuovo la Madonna del Sabato santo getta luce sul compito che ci aspetta e che ci è reso possibile dal dono dello Spirito del Risorto, il quale ci tocca interiormente con la “consolazione del cuore”. Si tratta di irradiare attorno a noi, con gli atti semplici della vita quotidiana – senza forzature –, la gioia interiore e la pace, frutti della consolazione dello Spirito.
Credere in Cristo, morto e risorto per noi, significa essere testimoni di speranza con la parola e con la vita.
Con la parola: non dobbiamo temere di toccare i grandi temi oggetto della speranza ultima, troppo spesso rimossi dal nostro linguaggio: la vita eterna e l’insieme dei novissimi che ad essa si connettono (morte, giudizio, inferno, purgatorio e paradiso: cfr. in proposito la lettera pastorale “Sto alla porta”).
Con la vita: siamo chiamati a dare segni credibili e inequivocabili della luce che i valori ultimi gettano sui valori penultimi, facendo scelte di vita sobrie, povere, caste, ispirate all’umiltà e alla pazienza di Cristo. Sono tali scelte, sempre più ampiamente condivise, che imprimono alla tendenza generale verso la globalizzazione i correttivi necessari per fare di tali processi non una radice mortifera di esclusione e di emarginazione dei sempre più poveri, ma una sorgente di inclusione progressiva di tutti nella partecipazione solidale allo scambio dei beni prodotti. Anche qui ci è modello e aiuto la “donna forte” (cf Prov 31,10) del Sabato santo, che ha dimostrato di sapere sperare contro ogni speranza e di credere nell’impossibile possibilità di Dio al di là di ogni evidenza della sua sconfitta.

3. La carità che ricompatta il presente

Il Sabato santo è per i discepoli l’esperienza di un presente gravido di tensioni ed essi lo vivono avvertendo soprattutto la grande solitudine in cui li ha lasciati la morte di Gesù, di colui che era la roccia della loro comunione.
Non è difficile riconoscere che tale esperienza di solitudine serpeggia fra i cristiani odierni. Può essere colta anzitutto a livello personale, là dove si sperimentano le lacerazioni del cuore di fronte all’assenza di futuro, alla mancanza di senso, all’incapacità di dialogo. Penso poi ai processi di frammentazione che attraversano tante volte la vita familiare, come pure alle difficoltà di aggregazione vissute nelle comunità parrocchiali e negli stessi movimenti e associazioni, fino alla frantumazione della vita politica, segnata dallo scollamento fra rappresentanza e rappresentatività (i rappresentanti eletti dal popolo non ne rappresentano spesso i reali bisogni e interessi) e – all’interno del mondo cattolico – dalla diaspora seguita alla fine dell’unità politica dei cattolici.
Maria riesce a custodire non solo la memoria della comunione, ma la carità per viverla nel presente. Sta con i discepoli, li conforta, li rimette insieme, li incoraggia facendo loro gustare i frutti della “consolazione della vita” che genera comunione; nel tempo del silenzio di Dio e dell’apparente sconfitta dell’Amore crocifisso è elemento di coesione, testimone di compassionevole amore e di prossimità operosa; nel Cenacolo si dispone, già piena di Spirito santo, a ricevere con i discepoli il dono del nuovo inizio reso possibile dalla risurrezione di Gesù. Alla scuola di Maria non possiamo non chiederci come vivere la nostra condizione presente nella luce che il Risorto getta sul sabato del tempo in cui ci troviamo. Infatti nel “cammino-pellegrinaggio ecclesiale attraverso lo spazio e il tempo, e ancor più attraverso la storia delle anime, Maria è presente” (Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, n. 25).
A livello di esistenza personale la scuola di Maria può aiutare a vincere la tentazione dell’angoscia per giocare la propria vita con slancio e fiducia davanti all’Eterno: si tratta di riscoprire la vita stessa come vocazione, cui corrispondere nella fede in Dio e nella fedeltà che la Sua fedeltà rende possibile. E’ soltanto in questa prospettiva che il discernimento vocazionale, così necessario ai singoli e alle urgenze della comunità, trova il suo ambiente adeguato. E’ aprendosi nella preghiera, con la Madonna, alla grazia della “consolazione della vita” che è possibile perseverare ed essere fedele fino alla morte alla parola data nel consacrarsi a Dio.
Riguardo alla comunione familiare mi sembra che la luce della carità di Maria richieda di ritrovare e sempre più evangelizzare – a tempo e fuori tempo – la carità coniugale e in famiglia, quale soffio ispiratore capace di motivare sia la risposta alla vocazione matrimoniale sia la fedeltà, ogni giorno nuova, all’alleanza sancita nel sacramento nuziale. Senza un amore di gratuità, nutrito alle sorgenti della grazia, è impossibile poter vivere in continuità il dono reciproco che la vita di coppia esige e spendersi con sacrificio personale perché la vita della famiglia venga vissuta come luogo di libertà, di crescita, di verità. La sfida della crisi dei rapporti coniugali e parentali non può essere affrontata e superata che mediante il ripetuto reciproco perdono e la sollecitudine della carità ispirata dal Vangelo.
Analogamente, la comunione nella vita ecclesiale – a tutti i livelli, dalla parrocchia alla diocesi, dai movimenti alle associazioni – richiede il sussulto della carità della Madonna del Sabato santo: dobbiamo accoglierci e perdonarci tutti sull’esempio del Signore. Il Papa ce ne ha data una straordinaria testimonianza con le richieste di perdono a nome di tutta la Chiesa e con il perdono offerto personalmente al suo attentatore.
Occorre esercitare il dialogo fra noi e con tutti. Penso al bisogno di incessante slancio propositivo e operativo nella vita degli organismi collegiali parrocchiali e diocesani, dove la presenza di operatori pastorali laici sempre meglio animati, sostenuti e formati sarà determinante. Penso – nell’ottica della Chiesa universale di cui non possiamo non sentirci parte viva – all’urgenza di affrontare e risolvere insieme a livello veramente cattolico le grandi sfide della vita di oggi, tanto a livello mondiale, quanto più specificamente nella nostra società europea (in tale senso si muoveva il terzo “sogno” di cui ho parlato nel mio intervento al Sinodo europeo dello scorso ottobre). Penso alla promozione del dialogo ecumenico – la recente dichiarazione di Augsburg sulla giustificazione fra cattolici e luterani ne è un frutto prezioso; penso al dialogo interreligioso che sempre più appare come una urgenza ineludibile, non semplicemente a motivo della presenza crescente fra noi di immigrati appartenenti a mondi religiosi diversi dal nostro, ma anche per la responsabilità che i credenti in Dio di tutte le fedi hanno di rendere insieme testimonianza del Suo primato sulla vita e sulla storia, contribuendo così a fondare un comportamento condiviso, eticamente responsabile verso gli altri.
Il dialogo e la carità che deve ispirarlo sono un’urgenza pure nel rapporto fra società civile e rappresentanti politici: ce lo ha ricordato l’ultima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, celebrata a Napoli nel novembre scorso, che ha focalizzato il rapporto necessario, nella dovuta distinzione, fra mediazione politica, istituzioni e società civile nel paese. Se nel passato ha prevalso una logica passiva della delega, oggi assistiamo spesso a un preoccupante scollamento fra politica e vita ecclesiale, fra etica e servizio pubblico, fra interessi personali e interessi collettivi. Anche nel “sabato della politica” è necessario far risplendere qualche raggio della domenica di resurrezione. Bisognerà educare tanto all’esercizio della carità politica, quanto al dialogo fra le aggregazioni – che formano il tessuto della società civile e sono spesso espressioni della comunità ecclesiale – e coloro che si impegnano nella mediazione politica o vengono chiamati al servizio del bene comune nelle istituzioni.
Infine, nel rapporto fra l’uomo e il creato occorre discernere e percorrere vie di riconciliazione: la lacerazione della persona in se stessa e nei suoi rapporti si riflette nello squilibrio con cui è spesso vissuta la relazione fra storia e natura. La crisi ecologica consiste esattamente nello squilibrio indotto fra i ritmi dei tempi biologici e i tempi imposti dall’uomo: questi – con i mezzi tecnologici e scientifici di cui oggi dispone – può modificare, in maniera rapida e irreversibile, ciò che la natura ha prodotto in millenni e spesso milioni di anni. Un uso sobrio delle possibilità della tecnica si rivela sempre più urgente e necessario per tutti nel crescente processo di globalizzazione: anche qui la coscienza di essere nel sabato del tempo e non nel giorno del compimento deve indurci a scelte equilibrate, in cui il sapere e il potere si rivelino capaci di automoderazione in vista della crescita della qualità della vita di tutti e per tutti.
Confido, per questi cammini, nella capacità propositiva ed esemplare dei nostri giovani che sanno guardare all’esempio di Maria e che vorrei come chiamare a raccolta perché si assumano in questo contesto le loro responsabilità per il futuro.
4. Dove siamo? Dove andiamo?
Siamo dunque nel sabato del tempo, incamminati verso l’ottavo giorno: fra “già” e “non ancora” dobbiamo evitare di assolutizzare l’oggi, con atteggiamenti di trionfalismo o, al contrario, di disfattismo. Non possiamo fermarci al buio del Venerdì santo, in una sorta di “cristianesimo senza redenzione”; non possiamo neanche affrettare la piena rivelazione della vittoria di Pasqua in noi, che si compirà nel secondo avvento del Figlio dell’uomo.
Siamo invitati a vivere come pellegrini nella notte rischiarata dalla speranza della fede e riscaldata dall’autenticità dell’amore: l’anno giubilare è, in questo senso, una nuova aurora che, fra la rinnovata memoria delle meraviglie di Dio e l’attesa del loro definitivo compimento, nutre l’impegno, rinnova lo slancio, ci fa sentire custoditi nel seno del Padre, insieme con Cristo (cf Col 3,3), con Maria, come Maria, nel Sabato santo della sua fede ricca di carità.
Allora, il sabato del tempo apparirà ai nostri occhi come già segnato dai colori dell’alba promessa, e la pallida luce dei giorni che passano si illuminerà dei primi raggi del giorno che non passa, l’ottavo e l’ultimo, il primo della vita eterna di tutti i risorti nel Risorto.
Ogni anno la celebrazione del Triduo pasquale ci accompagna e ci illumina in questo percorso di memoria. Nella ricchezza delle parole e dei gesti, esso orienta ogni volta la Chiesa a leggere se stessa nel quadro dell’intero piano di salvezza, a capire in quale direzione orientarsi, quale futuro prefigurare. Vi invito a celebrare il Triduo pasquale in questo clima spirituale, preparandolo accuratamente, in continuità con i passi con cui in questi anni lo stiamo riqualificando, per riguadagnarlo alla conoscenza delle nostre comunità.
Il nostro celebrare, radicato dentro una tradizione liturgica ricca come è la nostra ambrosiana, diventa come un entrare nel “sabato del tempo” ricapitolato nella Pasqua di Gesù, per attingere alla sua ricchezza di senso, per vivere della grazia che da esso si sprigiona. Incamminiamoci sempre più convintamene a celebrare e a vivere con questa sensibilità tutti i tempi liturgici, a partire da quello domenicale. Vi ritroveremo ogni volta un aiuto a superare lo smarrimento che ci assale e a vivere della grazia luminosa che ha rischiarato il Sabato santo di Maria.
stessa nel quadro dell’intero piano di salvezza, a capire in quale direzione orientarsi, quale futuro prefigurare. Vi invito a celebrare il Triduo pasquale in questo clima spirituale, preparandolo accuratamente, in continuità con i passi con cui in questi anni lo stiamo riqualificando, per riguadagnarlo alla conoscenza delle nostre comunità.
Il nostro celebrare, radicato dentro una tradizione liturgica ricca come è la nostra ambrosiana, diventa come un entrare nel “sabato del tempo” ricapitolato nella Pasqua di Gesù, per attingere alla sua ricchezza di senso, per vivere della grazia che da esso si sprigiona. Incamminiamoci sempre più convintamene a celebrare e a vivere con questa sensibilità tutti i tempi liturgici, a partire da quello domenicale. Vi ritroveremo ogni volta un aiuto a superare lo smarrimento che ci assale e a vivere della grazia luminosa che ha rischiarato il Sabato santo di Maria.


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