Le sette parole di Cristo in croce

LE SETTE PAROLE DI CRISTO IN CROCE

Da Robert Hugh Benson, L’amicizia di Cristo

CRISTO IL NOSTRO AMICO CROCIFISSO

Abbiamo considerato finora l’Amicizia di Gesù Cristo e i vari modi con i quali Egli ce la offre, sia interiormente che esteriormente, negli abissi della nostra coscienza, o nella Sua rappresentanza sulla terra, a ciascuno in vari gradi. Oggi ritorniamo al Vangelo per ricordare quel supremo pegno d’amicizia che ci ha dato una volta per sempre, quella manifestazione del più smisurato fra tutti gli amori che gli fece dar via la Sua vita per i Suoi Amici. Quando noi gettiamo lo sguardo su di Lui crocifisso, vediamo una favolosa ricchezza di funzioni ch’Egli esercita sulla Croce a nostro vantaggio; come un Imperatore Egli reca sul Suo Petto ferito tutte quelle insegne e decorazioni ch’Egli solo può conferire. Lì è il Sacerdozio, la Regalità, la Missione Profetica, il Sacrificio, il Martirio, tutti i gioielli insomma ch’Egli conferisce a coloro che Lo seguono, ciascuno nelle sue possibilità. Ma, sulla maggior parte di essi, noi non ci fermeremo; Lo considereremo piuttosto da quello stesso punto di vista da cui L’abbiamo considerato finora, cioè come il nostro Amico familiare che si fidò di noi, e che è stato ricompensato da noi con una corona di spine e che pure si contenta di sopportare tutto questo e anche altre mille passioni, purché infine riesca a persuaderci che Egli ci ama. Appeso sul Calvario Egli pronuncia Sette Parole e ciascuna di esse ci parla della Sua Amicizia. «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc. XXIII, 34). Il Nostro Amico ha salito il Calvario, è stato denudato dei Suoi vestiti e disteso sulla Croce che ha trasportato fin dal Pretorio. I carnefici preparano e scelgono i chiodi… Coloro dei quali Egli ricerca l’Amore, stanno intorno e guardando la Sua faccia rivolta in alto. Egli, disteso, li guarda, e guarda dietro di loro tutti quelli che essi rappresentano, tutto l’infinito numero di anime ciascuna delle quali Egli vuoi attrarre a Sé. E quando il martello è sollevato e cade, Egli pronuncia la sua prima Parola: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno».

PRIMA PAROLA: Padre, perdona loro perchè non sanno ciò che fanno.
I. I Ma è possibile una tale parola? È possibile anche per la Carità Divina dichiarare che «essi non sanno quello che fanno»? Egli è vissuto tre anni in pubblico, come loro Amico e Servitore ha aiutato tutti quelli che andarono a Lui, sanato gli infermi, cibato gli affamati, consolato i tormentati. Nessuno che è andato a Lui fu rigettato. Persino quelli che il mondo qualifica come abominevoli, i naufraghi dell’umanità, il pubblicano e la meretrice, persino quelli che si alienarono la facile amicizia del mondo, trovarono in Lui un Amico. Tutto ciò era innegabile; tutto ciò era notoriamente pubblico. Era impossibile esigere che il mondo Lo rigettasse quasi che Egli avesse rigettato il mondo, impossibile addurre che il mondo ignorava la Sua carità prodiga, la Sua larghezza di cuore. Per tutti Egli era stato un Amico. Solamente una eccezione fu addotta: Egli non fu amico almeno di Cesare. Ma ciò che essi non conobbero M e su ciò la Divina Carità si attacca, come all’unico pregio per il quale essi possano sfuggire c fu il loro Dio che fece tutte quelle cose; il Creatore che si mostrò così tenero per le sue creature; il Signore della Vita che ora essi tenevano sotto le loro mani. Pensarono di toglierGli la Sua Vita e non capivano che Egli la deponeva da Sé; pensarono che avrebbero spento per sempre un torrente di grazia da loro non amata; e non s’accorgevano di cooperarvi in una sfera suprema di grazia. Essi non sapevano ciò che si facevano. Sapevano allora di oltraggiare un amico umano, ma non di massacrare un Amico Divino. Sapevano di tradire un compagno mortale, di peccare contro ogni codice di elementare convenienza, di gratitudine, di giustizia; sapevano come Pilato di uccidere un uomo giusto, di chiamare sopra le proprie teste il sangue d’un innocente. Ma non s’accorsero che crocifiggevano il Signore della Gloria, che attentavano così a ridurre al silenzio l’Eterna Parola. Si può dunque dire in loro favore: «Essi conoscono l’orrore, ma non tutto l’orrore di ciò che commettono. Perciò, o Padre, perdona loro».
II. I «Com’era nel principio, è ora, e sempre sarà». Il mondo, come Gesù Cristo, è lo stesso, ieri, oggi sempre. C’è una società nel mondo dove Gesù dimora permanentemente; e questa Società, come Gesù Cristo, è, insieme, umana e divina. Questa Società, la Chiesa Cattolica, è incessantemente impegnata in opere umane e divine; e, come Gesù Cristo stesso, (e come ogni attività di bene) s’incontra in una sorprendente ingratitudine. Ancora una volta ai nostri giorni, i come in Inghilterra tre secoli or sono, in Roma sedici secoli fa, questa Società è sul punto di essere crocifissa da quelli la cui salvezza e liberazione costituisce il suo più acuto desiderio. Questa è una realtà di cose che rimarrà perpetuamente così, fino a che il mondo rimarrà quello che è; per quanto questo o quel periodo possa esibire il fenomeno più spaventosamente. È impossibile affermare che gli uomini non sappiano, almeno in parte, quello che fanno. Conoscono che l’incivilimento dell’Europa è dovuto alle fondazioni cattoliche; poiché la Chiesa ha nutrito gli affamati, istruito gl’ignoranti, accolto i diseredati, resa tollerabile la vita agli angustiati, molti secoli innanzi che gli Stati pensassero a farlo; prima infatti, che ci fosse qualcosa che si chiamasse Stato, per far questo. Sanno che Ella è stata la madre degli ideali, delle più nobili arti, della più pura bellezza. Essi usano oggi in ogni paese d’Europa, per secolare e consacrata tradizione, edifici che essa innalzò per onorare il suo Dio. Sanno bene che le leggi morali degli uomini trovano unicamente sanzione nel suo insegnamento e che dove decresce il dogma, cresce il delitto. E anche per lei, l’unico carico che le si fa è di non essere amica di Cesare, non amica, di alcun sistema che tenti organizzare una società separatamente da Dio. Ma sia ringraziato Dio! La Divina Carità può ancora patrocinare per gli uomini, giacché essi non conoscono l’abisso dell’orrore che commettono, e ancora pensano che mutilare e torturare la Chiesa di Dio, è rendere un servizio a Dio poiché essi non conobbero che Ella è la Sua Diletta, la Sposa del Suo Figlio; l’eterna Città che scende da Dio, dai cieli, che, nelle sue sofferenze completa ed applica la Divina Espiazione per i peccati di coloro che La crocifiggono. Essi sanno di vilipendere la giustizia umana, che si comportano con una comunità universale in tale maniera che non oserebbero con nessuna nazione; che tentano di tagliare il ramo che li sostiene. Ma essi non sanno che in questo caso la giustizia umana è un Diritto Divino; che in questo caso la Società è un corpo che riunisce non solo le vite degli uomini, ma la Vita Incarnata di Dio; che essi uccidono non un Profeta o un Ministro, ma un Figlio Unigenito. Questa preghiera, quindi, può stare sulle nostre labbra. Abbiamo ingiuriato abbastanza, tutti: la Repubblica Francese, i rivoluzionari del Portogallo, i liberi pensatori d’Italia, gli anarchici spagnoli, i protestanti irlandesi. Sul punto della nostra agonia dobbiamo imparare a pregare. Perdona loro perché essi non sanno quello che fanno.
III. I Gesù prega, infine, ancora per noi: poiché anche noi e ciascuno nella propria misura ha peccato, in una ignoranza frenetica. Infatti a noi Cattolici furono affidati i tesori della fede e della grazia; e intorno a noi c’ è il mondo a cui non li abbiamo comunicati. Confessiamo una piccola pigrizia, un indolente letargo; una piccola deficienza di generosità. «Sappiamo quello che facciamo» in parte; sappiamo di non corrispondere alle più sublimi ispirazioni, di non aver fatto tutto ciò che potevamo, di essere stati un po’ egoisti, un po’ maligni, qualche volta sensibilmente collerici. Confessiamo queste cose e ne diamo una facile assoluzione. E tuttavia non sappiamo quello che facciamo. Non conosciamo quanto sia stimolante il bisogno di Dio, quanto tremende siano le responsabilità che Egli ci ha affidate, quanto immenso sia il valore di un’anima, di un atto, di una parola, di un pensiero che può regolare i destini di un’anima. Non conosciamo quanto sia cocente l’attesa con cui il Cielo spia i nostri umori: non conosciamo come in quelle impercettibili opportunità di tutti i giorni si nascondono i germi di nuovi mondi che possono rinascere a Dio, e rimanere embrionali per la nostra trascuratezza. Noi tocchiamo i gioielli ch’Egli ci ha dato, e dimentichiamo che ciascuno vale il riscatto di un Re; scherziamo, come fanciulli, nell’aiole d’un paradiso, calpestando i fiori che Dio può sostituire, ma non richiamare in vita. È una Causa Divina che noi Cattolici crocifiggiamo ogni giorno; è un Onore Divino che noi insultiamo. Se lo potessimo scorgere, è proprio Gesù in mezzo a noi, con le stigma della agonia, che « attende uno che Lo conforti» e «non lo trova» (Ps. LXVIII, 21).
Egli sta qui, e noi ci perdiamo in pettegolezzi e sciocchezze, e procediamo per la nostra strada onde si compie la tragedia, mentre Egli pende fra cielo e terra, disceso da quello, rigettato da questa, il nostro Dio che stimiamo nostro schiavo, che desidera essere nostro Amico. Padre, per la preghiera del Tuo Figliuolo crocifisso, perdonaci; non sappiamo quello che facciamo. Ma sopratutto questa ignoranza è ancora più spaventosa per quanto concerne la nostra vita spirituale. È una costante esperienza dei Cristiani quella d’incontrarsi d’improvviso con Gesù che s’accompagna a loro come un Amico. Non c’è Cristiano per quanto poco istruito, o almeno, nessuno che, nella giovinezza, generalmente, e più di raro nell’età matura, non si risvegli al fatto che Cristo desidera qualcosa di più che una semplice obbedienza, o fede, o adorazione; vuole una Amicizia tale che il suo inizio non sia meno di una morale conversione. È uno spettacolo sorprendente e meraviglioso osservare un’anima che in tal modo diviene consapevole e come una fanciulla che s’avveda d’essere amata del fatto commovente che il suo Dio è il suo Amante. Egli viene al Suo, e il Suo Lo riceve. E tuttavia, come nell’amore umano, cosi nell’Amore Divino, il romanzo si cancella poco a poco; e l’anima che pochi anni innanzi si accentrava tutta su Gesù Cristo, un’anima che riformava tutta la sua vita e adattava i suoi dettagli con l’unico obbietto di crescere più e più conforme al Suo Amico, che abbracciava la devozione come la preoccupazione essenziale, che concentrava tutte le sue capacità, i suoi istinti per la bellezza, i suoi interessi, le sue emozioni, il suo intelletto, unicamente intorno a Lui, che prese un nuovo inizio e un nuovo centro per agire; che si spogliava dei suoi peccati quasi senza sforzo, alla luce solare della Sua Presenza g un’anima come questa, allorché è trascorso un po’ di tempo, allorché il travaglioso processo della Via Purgativa comincia a scrutarla, o quando l’immaginazione diventa pesante, o la maturità cancella le ingenue emozioni dell’adolescenza, o quando i tristi avvenimenti del mondo cominciano a reiterare le loro pretese di essere gli unici fatti degni di considerazione, e a poco a poco un’anima come questa, invece di serrare vieppiù la stretta intorno al Suo Amico, invece di attaccarsi (sia pure con una fede che salga quasi a una virtù di disperazione) a quello che è stato in realtà la più reale e vitale esperienza della sua vita, invece di sforzarsi a trasferire l’immagine di Gesù dal romantico capriccio, che forse già è passato, allo stato maturo che ora le è proprio, invece di cercare di abbracciarLo con la sua debolezza che ha preso il posto della forza naturale che è andata via, d abbandona la tremenda realtà fra le belle storie della sua giovinezza, e colloca Lui e la Sua Amicizia fra le illusioni che col crescere degli anni devono fatalmente morire per lo sviluppo dell’esperienza. Forse, Ella ancora si contenta di trattarLo come Dio, come l’ideale della razza umana, come il Salvatore degli uomini; ma, non altrimenti come l’Amante che la desidera fra mille, come il Principe che l’ha risvegliata con un bacio, al Quale, d’ora innanzi essa deve completamente appartenere. E tuttavia quanto raramente accade ch’ella s’accorga di ciò che ha fatto! Può darsi che anche se ne dispiaccia; vede ciò che sarebbe stato più perfetto se avesse perseverato; fors’anche invidia coloro che perseverarono. Conosce d’essere stata troppo leggera; ma non lo conosce appieno. Non conosce che si è sbarrata la possibilità della santità, che ha lasciato sfuggirsi mille opportunità che non torneranno più; o non conosce, che se non fosse per la grazia di Dio, perderebbe certamente anche la probabilità della sua salvezza.

Le altre parole le potete trovare al seguente link: www.freeforumzone.com/mobile/d/11372887/R-U-Benson-L-Amicizia-di-Cristo-testo-integrale-/discussione.aspx


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